Documentario, Gran Bretagna, 2009, 92', colore
regia: Franny Anderson

La storia del film inizia nel 2055, anno in cui la terra è devastata da una serie di catastrofi ambientali, con l’umanità sull’orlo dell’estinzione, ammassata nel nord del pianeta. In una torre al polo nord l’Archivista, interpretato da Pete Postlethwaite (I soliti sospetti), è custode di un archivio/arca di Noè dove animali, opere d’arte e documenti, sono preservati (per quali posteri, si chiede l’Archivista) come memoria dell’umanità.



L’espediente narrativo è la ricostruzione operata dall’archivista tramite un sofisticato software di montaggio – un’astuzia cinefila della regista Armstrong -, che avviene attraverso l’impiego di una serie di spezzoni di filmati (veri documentari girati dalla regista), animazioni (esilarante la satira sul consumismo sottolineata da I can’t get Enough dei Depeche Mode) e documenti d’archivio (la doppia cassa heavy metal sulle immagini della guerra in Iraq è un pugno nello stomaco). Lo scopo dell’Archivista è documentare l’incuranza di un’umanità stupida che, sebbene sapesse, non ha fatto nulla per fermare il disastro climatico. “In ogni epoca abbiamo lasciato il mondo meglio di come lo avevamo trovato. Si chiama progresso. […] Non questa”, commenta l’Archivista, sottolineando la stupidità di quella che il film condanna come l’ideologia sovrana, il consumismo. "Avremmo potuto salvarci, ma non l’abbiamo fatto. Non è incredibile? Cosa avevamo mentre avevamo l’estinzione davanti e ce ne siamo completamente disinteressati?”.

Franny Armstrong affida la parte documentale alle voci di sei personaggi, nella parte di se stessi, da tutto il mondo, che raccontano le sfide e i problemi di oggi. Un giovane imprenditore indiano di una compagnia di voli low cost superinquinanti, due orfani iracheni, fuggiaschi da una guerra per il petrolio e riparati ad Amman, l’alpinista ottantaduenne Fernand Parau, che ha assistito durante la sua vita al costante scioglimento dei ghiacciai delle Alpi, il giovane inglese che cerca di costruire impianti eolici con continue opposizioni, la giovane dottoressa nigeriana in una terra insanguinata dalla sete di risorse energetiche, il tecnico petrolifero di New Orleans, sopravvissuto al disastro Katrina, una cui frase da il titolo al film.

Il “docu-film-profezia” è un tentativo disperato per svegliare le coscienze e riformulare la semantica della questione del cambiamento climatico. Sembra volerci dire: sta accadendo adesso, e non rimane altro che agire, fare altrimenti è da stupidi. Questa è la sensazione che rimane dopo aver visto The Age Of Stupid, che ha la doppia capacità di preoccupare in maniera salutare e spingere lo spettatore a prendere una posizione, rimboccarsi le maniche e darsi da fare. Rapidamente. Grazie al ritmo incalzante, che trova il suo climax nello spasmo del finale, e a un uso alchemico di flashback, ellissi temporali, tempi e temi musicali, il film riesce a generare un’urgenza quasi fisica in chi lo guarda, corrispondente a quella necessaria di agire sulla questione climatica. Per quello che per noi è una vita – pensiamo al 2050 – per la Terra sono gli ultimi secondi sul baratro, l’istante prima della caduta.

Indicato da molti critici come uno dei film più importanti del nostro tempo, The Age Of Stupid ha attirato l’attenzione di personaggi importanti, come Kofi Annan, Gillian Anderson e Thom Yorke dei Radiohead, tutti presenti il 20 settembre alla première a New York. “L’ho visto e mi è rimasto impresso” ha dichiarato Yorke – "specialmente nell’ottica del summit che si terrà a dicembre a Copenhagen e in cui i nostri gloriosi leader decideranno come affrontare i cambiamenti climatici." La band inglese ha chiuso ieri sera con uno show esclusivo l’anteprima newyorkese, trasmessa in diretta satellitare da un tendone completamente alimentato da energia solare.

La regista, Franny Armstong, nota al pubblico per il successo McLibel, il documentario censurato sul maxi-processo contro McDonald Corp., ha inoltre voluto che la proiezione in cinema di oltre 40 paesi, incluso il collegamento con l’Arctic Sunrise, la nave di studi artici di Greenpeace, avvenga via satellite per abbattere costi economici ed energetici delle proiezione. Una scelta appropriata visto che l’intero film è stato girato limitando al massimo le emissioni di Co2, tanto che nei titoli di coda è possibile sapere in dettaglio le emissioni totali: i 105 membri della crew hanno consumato quello che 8 cittadini britannici o 4 americani consumano in un solo anno, ovvero le emissioni di 1000 cittadini della Tanzania.

fonte: sentireascoltare.com

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