documentario, Italia 2014, 60', colore
regia di Argentieri, Casazza, Prevosti, Servi, Zoja

Menzione speciale Legambiente - Festival Cinemambiente 2014

Gezi Parkı è uno dei più piccoli parchi di Istanbul, situato in piazza Taksim nel distretto Beyoğlu. Nel maggio 2013, il progetto della costruzione di un centro commerciale nell'area scatena una protesta antigovernativa che sarà soffocata con una violenza assolutamente sproporzionata il cui bilancio finale sarà di nove morti e oltre ottomila feriti. Attraverso le voci degli studenti, professionisti, giornalisti e attivisti che sono stati protagonisti di uno degli eventi più drammatici di tutta la storia turca, assistiamo così all’occupazione pacifica dell’area e all’entusiasmo della protesta, prima di essere testimoni della brutale reazione di un potere sempre più sordo e repressivo.

 






Il film è un'istantanea su quanto abbiamo visto e su quanto ci è stato raccontato. Le voci: studenti, avvocati, architetti, giornalisti, attivisti; giovani e meno giovani; ricchi e poveri; incazzosi e gioiosi; coraggiosi e spaventati. Le immagini: l'occupazione pacifica di Gezi Park, la gioia nell'opporsi a una scelta assurda; la violenza della repressione, lo sbigottimento nell'essere “violentati”; l'invenzione della protesta silenziosa, la moltitudine di piazza Taksim. Le ragioni: la gentrificazione di Istanbul, un'islamizzazione che vieta il consumo di alcolici la sera, la limitazione alle libertà individuali, un potere sempre più sordo, la censura che ha provato a nascondere la protesta. La pluralità dei manifestanti, diversissimi tra loro, uniti in un'inaspettata alleanza contro gli abusi del potere.


UNA RECENSIONE
Cinque registi raccontano l’occupazione pacifica di Gezi Park. Il lavoro è già stato presentato al Festival Sguardi Altrove di Milano e ha conquistato l’Amnesty International Award al Thessaloniki Documentary Festival e il premio del pubblico al Docucity di Milano, oltre a partecipare al Festival del cinema di Nador in Marocco. Quanto è successo a Istanbul attraverso le voci di chi e? sceso in piazza, di chi si e? ribellato, di chi si e? sentito in mezzo a una potenziale rivoluzione, di chi ha costruito le barricate, di chi e? stato colpito dai lacrimogeni, di chi e? stato picchiato dalla polizia, di chi ha avuto paura a manifestare, di chi ha documentato la protesta e le violenze subite, di chi ha protestato attraverso i social media, di chi non e? sceso in piazza, di chi non si e? accorto o non ha voluto accorgersi. Le voci dei protagonisti si alterneranno e si sovrapporranno alle immagini filmate. Il risultato è un caleidoscopio di storie personali e collettive. Le voci: studenti, avvocati, architetti, giornalisti, attivisti; giovani e meno giovani; ricchi e poveri; incazzosi e gioiosi; coraggiosi e spaventati.

Le immagini: l’occupazione pacifica di Gezi Park nel 2012, la gioia nell’opporsi a una  scelta assurda; la violenza della repressione, lo sbigottimento nell’essere “violentati”; l’invenzione della protesta silenziosa, la moltitudine di piazza Taksim.

Le ragioni: l’opposizione ambientalista alla costruzione di un centro commerciale all’interno del Gezi Park, uno dei pochi ritrovi “verdi” rimasti al centro della città. E poi, alla rivolta ecologista, sono emersi ed esplosi altri temi: la gentrificazione di Istanbul, un’islamizzazione che vieta il consumo di alcolici la sera, la limitazione alle libertà individuali, l’oppressione curda che dura da almeno trenta anni, un potere sempre più sordo, la censura che ha provato a nascondere la protesta.

La pluralità dei manifestanti, diversissimi tra loro, uniti in un’inaspettata alleanza contro gli abusi del potere. Rivoluzione è una parola che in turco può significare “stare sui propri piedi”, mentre “çapulcu” significa saccheggiatori, come li ha etichettati il primo ministro Erdogan, facendo passare alla nazione il messaggio che tutto quello che è successo in realtà è stato organizzato dalle forze di opposizione, pronte a destabilizzare il suo governo. L’unico canale d’informazione per “restare in piedi” in quei giorni è stato twitter, baluardo di libertà e speranza per tanti manifestanti, decisi a non mollare la protesta, che ormai aveva invaso anche altre città, soprattutto quella ad ovest del Paese. Gezi Park rappresenta quindi solo un simbolo della rivolta, nonostante il ritorno all’ordine imposto dalle violenze della polizia.

Leonardo Lardieri

fonte: Sentieri Selvaggi 13.10,2014