film, Polonia 2022, 86’, colore
regia di Jerzy Skolimowski

Premio della Giuria – Festival di Cannes 2022

EO ("ih-oh") è il nome di un asino che fa coppia con l'acrobata Kasandra in un circo polacco: un rapporto speciale, un accoppiamento delle teste e dello spirito. Ma il circo viene smantellato e i due vengono separati. EO inizia così un viaggio che lo porta in paesi e contesti diversi, fino in Italia. Jerzy Skolimowski si mette nella testa dell’asino, animale intelligente e sensibile, costretto allo spettacolo dell’umana violenza e dell’umana insensatezza, e ne visualizza i pensieri, i ricordi, i desideri. Il risultato è un film che vorrebbe essere quasi senza autore, identificarsi con il cinema stesso, con l’atto della visione, che è sempre soggettiva, investita e dettata dalle emozioni.




RECENSIONE

A ottantaquattro anni, al diciottesimo lungometraggio di una carriera quasi sessantennale (l’esordio fu con Rysopis nel 1964), Skolimowski osa guardare negli occhi l’asino, la sua immutabile dolcezza, e fissarne la vita/martirio. Non lo chiama per nome perché non è più tempo di personalizzazioni: EO è un asino, probabilmente solo chi lo conosce bene potrebbe distinguerlo da altri della sua stessa specie. Basta il raglio a definirlo, basta quel suono che non possiede la classe del cavallo e lo relega a un ruolo subalterno: il cavallo è trattato con cura, lavato con grande attenzione, mentre EO trascina carretti per lui evidentemente troppo pesanti, mentre macchinari costruiti dall’uomo lo sovrastano, sfiorandolo e minacciandone in continuazione l’esistenza.

Skolimowski, nella scritta bianca su schermo nero che anticipa i titoli di coda, ama sottolineare come il racconto sia stato portato avanti per ricordare le sofferenze di tutti gli animali che sono oggetti nelle mani dell’uomo, e in effetti il martirio verso cui si dirige l’asinello è anticipato e accompagnato da un numero spropositato di animali destinati a fine simile: agonizza la volpe colpita nella notte da un proiettile, e grugniscono i maiali in viaggio verso il mattatoio, proprio come le vacche cui si legherà senza volerlo anche il protagonista.

Lo scopo di Skolimowski, e quella scritta finale in qualche misura lo spiega con estrema nettezza di pensiero, non è quello di muoversi nelle acque in cui già si bagnò Robert Bresson con Au hasard Balthazar nel 1966: pur rimanendo, a detta del regista polacco, uno dei film che più lo formarono e scioccarono, EO non è un remake di Au hasard Balthazar anche perché, come scritto dianzi, ciò non sarebbe possibile. Anzi, a voler essere precisi Skolimowski compie un’azione ostinatamente contraria a quella del regista francese, che vedeva nel racconto un’allegoria dell’umano. Bresson non concedeva antropomorfismi di sorta al suo asino, lo rappresentava nella sua nuda purezza animale, nella sua totale non consapevolezza che lo lasciava inerme nelle mani di un’umanità violenta: Skolimowski al contrario attribuisce un pensiero semplice ma radicato a EO, gli regala sogni, visioni, rimembranze di un passato felice, quello in cui lavorava al circo insieme a una ballerina che lo carezzava, se ne prendeva cura, lo amava.

Il girovagare senza meta dell’asino, che attraversa l’Europa Unita nella sua noncuranza di tutto ciò che non la riguarda personalmente (la vicenda inizia in Polonia e termina in Italia), non è incosciente: nell’ottica di Skolimowski lui vorrebbe ricongiungersi alla ragazza, al punto da scappare da una fattoria in cui potrebbe condurre una vita tranquilla fino alla vecchiaia solo perché lei è andato a trovarlo. In questa scelta EO trova la sua collocazione: non un racconto morale, ma un road movie avventuroso verso l’ineluttabile. Per questo Skolimowski abbandona qualsiasi riferimento all’ascetismo biblico e al nitore dell’opera bressoniana per condurre il film in territori assai più ibridi, dove il dramma si lega al grottesco, e la violenza può esplodere nei modi più impensati – la gola tagliata di netto al camionista che sta cercando di rimorchiare una morta di fame, l’irruzione degli ultras per distruggere la festa dei tifosi della squadra avversa, che ha vinto solo perché EO, facendo rumore, ha distratto il calciatore al momento di tirare il rigore.  

Raffaele Meale - Quinlan - 20.05.2022


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