documentario, Francia 2021, 80', V.O. sott. italiano
regia di Patrizia Marani
Da tempo immemorabile il frumento è l'alimento base dell'umanità, fondamento stesso delle più antiche civiltà della storia. Ma oggigiorno, per un numero crescente di persone, è diventato un veleno e una silenziosa epidemia sembra diffondersi su scala globale. Mentre i prodotti senza glutine sono diventati un business redditizio e in continua espansione, alcune persone stanno cercando di capire come mai, all'improvviso, così tanti esseri umani hanno sviluppato un'intolleranza verso i chicchi così nutrienti di molti cereali.
E se l'agricoltura intensiva e gli alimenti ultraprocessati, così redditizi per una manciata di colossi agrochimici, fossero la vera causa della proliferazione di disturbi legati al glutine?
Ricomponendo un tassello dopo l'altro, questo appassionante documentario d'inchiesta inizia dalla controversa biologia dell'intolleranza al glutine raccogliendo via via prove sempre più evidenti contro l'utilizzo di sostanze chimiche nell'industria agroalimentare globale. Nel corso di una coraggiosa indagine, accompagnata dalla voce di esperti, attivisti e addetti ai lavori, si svelano gli enormi interessi economici alla base di questa epidemia e il ruolo ambiguo che l'industria esercita sulla scienza e sugli enti regolatori posti a protezione della salute pubblica.
TRE DOMANDE A PATRIZIA MARANI
Dal documentario emerge una realtà: il cibo che mangiamo non è lo stesso rispetto a 50 o 100 anni fa. Quali sono, in breve, i motivi principali?
«La prima rivoluzione è legata al grano e risale alla fine dell’Ottocento, quando si inizia a macinare la farina con i mulini a cilindro. La farina raffinata, che fino a quel momento era consumata solo dalle classi più abbienti, viene adottata da gran parte della popolazione e diventa di fatto il primo alimento industriale della storia, perché dura più a lungo e quindi può essere commercializzata in tutto il mondo. Purtroppo, però, così facendo perde le parti fibrose – che giocano un ruolo fondamentale per la salute del microbioma intestinale – e il germe di grano, cioè la parte più nutritiva del chicco. In compenso mantiene l’amido, che al nostro cervello piace tantissimo.
Negli anni Cinquanta si introducono nelle coltivazioni – e quindi nell’organismo umano – alcune sostanze chimiche che dovrebbero uccidere gli elementi naturali che minacciano il raccolto. Questa è la seconda rivoluzione. Siccome il grano antico così alto non si adattava a queste sostanze, dai laboratori esce una nuova tipologia di grano che ha una resa molto maggiore ma, per contro, contiene un glutine più difficile da digerire.
La terza rivoluzione avviene nel 1995 quando si iniziano a irrorare le colture con gli erbicidi - in primis il glifosato - che in origine erano stati pensati per liberare il terreno dalle erbe infestanti prima della coltivazione. Di conseguenza vengono inventate colture geneticamente modificate per sopravvivere a queste irrorazioni di sostanze tossiche.
Sostanze tossiche che finiscono nel nostro piatto…
«Sì, la tossicità nel nostro piatto cresce molto e va a esaltare quella del grano. Anche nel grano antico infatti il glutine veniva notato dal nostro sistema immunitario, e ce lo dimostra il fatto che la celiachia esista da sempre. Il cambiamento della tipologia di glutine, dovuto a questa selezione del grano, invece è una novità. E sono una novità le tecniche di coltivazione moderne. I meccanismi di disintossicazione del nostro organismo sono messi a dura prova da tutte queste sostanze chimiche. Quando si parla di pesticidi e diserbanti di solito si focalizza l’attenzione sui rischi per l’ambiente, ma quelli per la salute umana sono ancora più grandi».
Il documentario inizia parlando di salute e alimentazione ma ben presto diventa un'inchiesta geopolitica. Quando ha iniziato a lavorare sul tema si immaginava questa evoluzione?
«L’inchiesta è partita proprio da un aspetto di geopolitica perché stavamo seguendo le guerre commerciali in corso, in particolare nel sud Italia, dove un’organizzazione aveva denunciato la presenza di glifosato nei marchi italiani che importavano la pasta dal Canada. Ci siamo posti una domanda: la contaminazione da glifosato può in qualche modo essere correlata alla celiachia? Da qui è partita l’indagine sul glutine e poi sui monopoli che trattano il cibo come una merce pura e semplice. Da qui la domanda che ci siamo posti: è giusto che l’alimento sia una merce? Stiamo parlando della componente alla base della nostra vita e della nostra salute.
Il grano duro, una coltura che ama il caldo, viene coltivato in Canada: ma a che prezzo? Irrorandolo con quantità impressionanti di glifosato. Nel 2015 lo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) l’ha classificato come un probabile cancerogeno, mentre l’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) afferma l’esatto contrario. È evidente che un cittadino non sa più a chi credere. Da qui abbiamo cercato di capire come queste agenzie elaborino le loro classificazioni, e abbiamo scoperto che è l’industria stessa a effettuare gli studi. Com’è possibile che l’industria, facendo gli studi sui prodotti che poi venderà, orienti le scelte dei regolatori?
C’è di più: questi studi non vengono pubblicati nemmeno sui giornali scientifici perché sono segreti industriali. Così facendo il processo scientifico viene sconvolto perché viene meno la peer review, cioè la revisione da parte dei pari. La ricerca scientifica pubblica ormai si è quasi estinta perché si sta demandando tutto al privato. Ma non è giusto, soprattutto quando – come in questo caso – la ricerca riguarda prodotti che hanno un forte impatto sulla salute pubblica».
Valentina Neri deabyday
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