documentario, GB Mongolia 2016, 87', colore
regia di Otto Bell


LA STORIA
La Principessa e l'Aquila racconta la straordinaria storia vera di Aisholpan, una ragazzina di tredici anni che lotta per diventare la prima addestratrice di aquile, in un contesto culturale in cui l’addestramento delle aquile è un'arte millenaria tradizionalmente riservata ai soli maschi. Aisholpan è la protagonista di un epico viaggio verso la vittoria in una terra lontana.
Questa giovane ragazza nomade sogna di poter partecipare e vincere l’annuale competizione che si tiene al Festival dell’Aquila Reale e di riuscire a cacciare anche durante il rigido inverno della Mongolia, per dimostrare che “le ragazze possono fare le stesse cose che fanno i ragazzi, se sono determinate”. Aisholpan convince il padre Agalai, professionista della caccia con l’aquila, ad allenarla e a insegnarle questa antica arte tramandata tradizionalmente di generazione in generazione di padre in figlio.

La storia è ambientata nel suggestivo paesaggio dei monti Altai, situati nel Nord della Mongolia: la località più remota all’interno dello stato meno popolato del pianeta Terra. Questo piccolo mondo misterioso ricco di tradizioni millenarie, rischia però di soccombere all’arretratezza e all’ignoranza a causa dello stato di isolamento in cui si trova da sempre. Per un lunghissimo tempo le donne sono state considerate dai capifamiglia kazaki troppo deboli e fragili per potersi dedicare alla caccia con l’aquila. Ma Aisholpan è determinata a dimostrare che si sbagliano e a cambiare la storia.
La Principessa e l’Aquila, grazie a incredibili riprese ad alta quota e momenti di introspezione più intima che raccontano il viaggio personale intrapreso da Aisholpan, narra temi   universali come l’affermazione e la valorizzazione della donna, le meraviglie del mondo naturale e il percorso di formazione e crescita di una giovane donna.

LE PAROLE DEL REGISTA
Non puoi scegliere il momento in cui la tua più grande avventura avrà inizio. Non puoi scegliere una data o programmare un itinerario. Questa è la prima lezione che ho imparato mentre giravo La Principessa e l’Aquila.

Il viaggio ha avuto inizio mentre mi trovavo a New York seduto alla mia scrivania. Ho notato una foto di Aisholpan all’interno di un servizio fotografico pubblicato dalla BBC. Ho dato uno sguardo a quell’iconica l’immagine, una ragazza angelica letteralmente abbracciata a un’aquila reale e le imponenti montagne a fare da sfondo.
Sono stato folgorato da quell’immagine, in quel momento i miei sensi si sono messi in moto e nella mia mente è apparso tutto il film. Sapevo che in qualche parte del mondo quella ragazza esisteva davvero e stava camminando con la sua aquila. Le immagini che avevo davanti ai miei occhi erano bellissime, ma mancava qualcosa. Ho sentito da subito la necessità di colmare questa mancanza attraverso la realizzazione di un film che parlasse di questa storia e che avesse panorami, suoni e movimento. Sentivo che questo film andava fatto e che io ero la persona giusta per realizzarlo.

Dopo pochi giorni ero già in aereo verso la Mongolia per incontrare Aisholpan e la sua famiglia. Non ho avuto alcuna esitazione, anche perché negli anni passati ho diretto molti cortometraggi e documentari in posti lontani e remoti, sono stato in Uganda, Vietnam, Giappone e in molti altri posti. Queste esperienze mi sono servite molto e mi hanno dato una certa sicurezza in me stesso. Col senno di poi, devo dire che è stato abbastanza sconsiderato  da parte mia precipitarmi dall’altra parte del mondo per andare a scovare i protagonisti di questa storia. Ma è così che è cominciata questa avventura!

Successivamente mi sono ritrovato seduto per terra nella yurta (in mongolo: Ger), l’abitazione mobile in cui vive Aisholpan, a bere del tè con latte. Lì ho conosciuto la famiglia di Aisholpan e abbiamo discusso circa la possibilità di realizzare un documentario insieme, quando a un  certo punto il padre di Aisholpan si è alzato e ha detto: «Questo pomeriggio mia figlia e io andremo a prelevare un cucciolo di aquila dal suo nido. Questa è una di quelle cose che vorresti riprendere per il tuo film, giusto?»

Otto Bell