documentario, Austria, 2022, 106, colore
regia di di Nikolaus Geyrhalter


Premio Pardo Verde WWF, Festival di Locarno 2022

Premio Miglior documentario, Festival dei Popoli, Firenze 2022

Premio Green Planet Movie Award, Film Festival della Lessinia 2023


Rifiuti sulle coste, rifiuti sulle montagne. Sul fondo degli oceani e nelle profondità della terra. Un’indagine intorno al tema dello smaltimento dei rifiuti in alcune aree remote del mondo, dall’Asia all’Europa passando per il deserto del Nevada fino alle Maldive è al centro del lavoro di Nikolaus Geyrhalter che oscilla tra l’iperrealistico e il visionario, tra il grottesco e la fantascienza.




RECENSIONE


«Materia fuori posto si riferisce a qualsiasi oggetto o impatto non naturale per l’ambiente circostante», è la didascalia che appare all’inizio del documentario. E infatti come un detective, il regista austriaco ha seguito le tracce dell’innaturale girando per il mondo. Piste, in realtà, non difficili da scovare perché l’umanità esibisce se stessa senza alcun pudore. I segni della sua presenza sono ovunque, in superficie, sotto terra, negli angoli sperduti del mondo, negli abissi degli oceani, persino nello spazio, oltre l’atmosfera o quel che rimane di essa. «Scarica e copri, lontano dagli occhi lontano dal cuore», dicono all’inizio due tecnici che mappano le discariche di mezzo secolo fa. Aprono la terra per capire cosa vi sia sotto, chiedendosi come sia stato possibile destinare quei campi ad attività agricole. E poi richiudono.

Quando si cerca di definire la conoscenza, spesso si fa riferimento alla memoria prodotta da una o più esperienze, al carattere formativo della vita di un individuo moltiplicata per tutte le altre esistenze. E allora, precisamente, cos’è andato storto nel nostro sistema economico e sociale? Come è possibile che non sia stato recepito il carattere autodistruttivo del produrre oggetti che, rispetto al loro uso, durano molto più in qualità di rifiuti? Perché si insiste, nonostante certe evidenze, nella direzione di un suicidio di massa? Possibile che non si possa evadere dal nostro essere qui e ora, e che la caducità del presente abbia la meglio perennemente sull’apertura al futuro?

Certo, per chi ci crede, la Terra è solo un punto di passaggio verso l’al di là e dunque si potrebbe giocare con le parole e interpretare la vita come un tragitto che dall’eternit conduca direttamente all’eternità. Ma scherzare su queste cose non è proprio consentito, siamo circondati da fantasmi più che reali che in ogni luogo hanno pagato con la morte e le malattie questo cieco senso di onnipotenza che poi altro non è che il bieco profitto ricavato dai pochi contro intere moltitudini.

Le immagini di Geyrhalter, peraltro, sono affascinanti, ipnotiche, inquietanti. Sono come la vertigine che spinge verso il vuoto, un’attrazione fatale per la fine e per ciò che sovrasta. Esiste anche un aspetto ludico intorno ai rifiuti, è sufficiente digitare su YouTube le due parole «camion immondizia» e compaiono numerosi video che riprendono l’attività quotidiana degli operatori ecologici e dei loro prodigiosi autocompattatori. Su Netflix, tra i cartoni animati, spicca Hank e il camion dei rifiuti. E poi l’immancabile automezzo in scala per far «divertire» i propri figli. D’altro canto, se intere generazioni di bambini hanno giocato con le pistole che sarà mai un piccolo oggetto di plastica difficile da smaltire, dotato di quattro ruote e una pila per la sonorizzazione?

Tra fascino e repulsione, Materia fuori posto è un documentario horror, un film che nell’atto di rivelare la realtà circostante mostra l’abisso. È un racconto itinerante, nel quale l’opera umana si è mostruosamente sovrapposta alla natura. Un viaggio che intercetta chi studia il fenomeno, chi prova a contrastarlo con atti di volontà, chi è costretto a trovare rimedi di fortuna e chi si organizza in modo più razionale e apparentemente più virtuoso, pur sapendo che nell’aggiungere all’infinito si finirà solo con il sottrarre spazio, aria, vita.
E, allora, ancor più di quanto appena detto, questo film è la rappresentazione tragica di una lotta dell’umanità contro se stessa, contro il proprio continuare a essere in un pianeta che, a sua volta, sopravviverà, memore di eventi catastrofici di ben altra portata nei milioni di anni. Se la natura avrà una memoria, ricorderà di un fastidioso animale che per un breve periodo si presentò in tutta la sua superbia e si estinse per vocazione. 

Spostandosi da un punto all’altro del pianeta, dall’Europa all’Asia, fino all’impressionante scenario del festival Burning Man nel deserto del Nevada, il regista austriaco si concentra sui gesti di chi lavora la materia da smaltire, non solo per farla scomparire ma anche per evitare che si impossessi della terra e che invada il territorio.

Mazzino Montinari - il Manifesto - 22.06.2023



Una montagna di rifiuti ci seppellirà


I rifiuti sono molto di più che semplice «materiale di scarto di svariate attività umane» (Wikipedia), «oggetti di scarto, inutili o inutilizzabili» (Treccani). I rifiuti sono un prodotto del lavoro umano che non riconosciamo come tale, mentre crediamo che siano una proprietà intrinseca delle merci che compriamo e consumiamo.

Mentre milioni di persone vorrebbero ridurne l'uso, la produzione di materiali plastici è in aumento. Sta aumentando a tal punto che, probabilmente, con questo ritmo, nel 2050 il peso della plastica oceanica potrebbe superare quello di tutti i pesci. Lungi dall'essere guidata dalla "domanda dei consumatori" - e quindi dalla "colpa" dei singoli consumatori - la produzione di plastica è guidata dall'economia basata sui combustibili fossili.

La produzione di plastica iniziò a metà del XIX secolo, quando la celluloide, derivata dal polimero di cellulosa naturale delle piante, fu sviluppata come sostituto dell'avorio. La prima vera plastica sintetica fu la bachelite, introdotta nel 1907 come sostituto della gommalacca.

Negli anni '20 e '30, mentre le compagnie petrolifere costruivano nuovi mercati per il petrolio come carburante ed aprivano la strada alla produzione di massa di automobili, l'industria chimica sviluppava materiali completamente nuovi, ricavati dai prodotti della raffinazione del petrolio. In seguito, le compagnie petrolifere e chimiche iniziarono a sviluppare alleanze ed a formare società integrate verticalmente. Oggi i principali  attori - DowDuPont, ExxonMobil, Shell, Chevron, BP e Sinopec - sono aziende integrate che producono sia combustibili fossili che plastica.

Il grafico che illustra la produzione mondiale di plastica dal 1950 al 2018 rappresenta in modo eloquente la cosiddetta Grande accelerazione. La produzione di plastica è esplosa nel dopoguerra - ammontava a centomila tonnellate nel 1939 - passando a 1,3 milioni di tonnellate nel 1953, a 15 milioni di tonnellate nel 1964 e poi a 311 milioni di tonnellate nel 2014. L’industria delle materie plastiche utilizza circa il 6% del petrolio prodotto nel mondo, più di quello del trasporto aereo, e questa percentuale, se non cambia niente, dovrebbe aumentare da qui a metà del secolo. [1]






Imballaggi di plastica

Il più grande mercato della plastica (26% della produzione totale) è quello degli imballaggi, dei prodotti realizzati con materiali che non si decompongono e che sono destinati ad essere gettati, spesso dopo un singolo uso. A dispetto di quanto si dice, solo il 14% degli imballaggi di plastica è raccolto per il riciclaggio, e solo un terzo di questo, il 5% della produzione totale, viene poi riciclato. Il resto si divide come segue: il 14% viene bruciato, il 40% è interrato, e uno sconcertante 32% è gettato nell’ambiente come elemento inquinante.[2]

Da un rapporto di fine 2022 del Grand View Research, un’istituto di ricerca di mercato internazionale, «il mercato globale degli imballaggi in plastica dovrebbe raggiungere i 492,3 miliardi di dollari entro il 2030. Si prevede che il mercato si espanderà con un tasso di crescita annuo del 4,2% dal 2022 al 2030. La rapida crescita dei settori alimentare e delle bevande, della cura della persona, dell’industria e della farmaceutica, insieme alla crescente penetrazione del commercio organizzato e dell’e-retail in tutto il mondo, dovrebbe alimentare la crescita del mercato».[3]

Nelle discussioni sull'uso della plastica è comune incolpare il consumismo di massa e la cultura dello scarto per il problema ambientale che crea. Ma la cultura della plastica e del successivo usa e getta è stata creata e guidata dalle società che ne traggono profitto, non dalla domanda dei cosiddetti "consumatori".

I prodotti usa e getta erano difficili da vendere ad una generazione cresciuta col motto "arrangiati e ripara" e che aveva attraversato la Seconda guerra mondiale. La produzione di plastica è esplosa nel dopoguerra - ammontava a centomila tonnellate nel 1939 - passando a 1,3 milioni di tonnellate nel 1953, a quindici milioni di tonnellate nel 1964 e poi a trecentoundici milioni di tonnellate nel 2014. L’industria delle materie plastiche utilizza circa il 6% del petrolio prodotto nel mondo, più di quello del trasporto aereo, e questa percentuale, se non cambia niente, dovrebbe aumentare da qui a metà del secolo.

Dagli anni '50 sono state lanciate massicce campagne pubblicitarie per cambiare gli atteggiamenti dei riottosi "consumatori" e l'impopolarità dei sacchetti di plastica è stata sconfitta dalle scelte dei supermercati, guidate da calcoli economici. I sacchetti di carta costavano più del triplo, ma una volta introdotti nelle grandi catene dei supermercati, i sacchetti di plastica si sono diffusi in tutti i negozi. Contemporaneamente, molti prodotti sono stati ridisegnati per essere usati una sola volta: dagli accendini alle penne, dai rasoi alle cannucce. Oggi la metà di tutta la plastica prodotta va in applicazioni monouso, e al centro di questo c'è l'imballaggio, che rappresenta il 26% di tutta la produzione.

Nel 2019, a livello globale, la produzione annuale di plastica è raddoppiata rispetto al 2000, passando da 234 a 460 milioni di tonnellate. Lo stesso si vede con la produzione di rifiuti – più che raddoppiata – che ha raggiunto le 353 milioni di tonnellate.[4]

Nuotiamo nella plastica.


Note


[1] Ian Angus, Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema Terra, Asterios, 2020, pag. 207-208

[2] Ian Angus, op. cit., p. 208.

[3] Imballaggi in plastica: rigidi o flessibili, il mercato cresce, Plastmagazine, 27.02.2023

[4] Simone Fant, “Solo il 9% della plastica viene riciclata”: i dati allarmanti del nuovo rapporto Ocse, EconomiaCircolare.com, 22.02.2022.


A cura del Centro Ecologista di Vittorio Veneto